Ganimede, figlio di Troo, il re dardanide da cui deriverebbe il nome della città di Troia, era un giovinetto bellissimo che trascorreva una vita semplice nella città nativa.
Descritto come il più bel giovane imberbe che fosse mai nato in tutta la Troade, era comunemente indicato come “il più bello di tutti i mortali”.
In filosofia, e nella tradizione neoplatonica, Ganimede rappresenta misticamente il rapimento dell’anima a Dio, e in questo senso è stato usato sia nell’arte figurativa che in letteratura.
Il tema mitico di Ganimede è costituito dalla sua bellezza, di cui si invaghirono Minosse, Tantalo, Eos, e lo stesso Zeus, come si racconta in una versione posteriore della leggenda.
Di lui s’innamorarono moltissime ragazze ed anche ragazzi, ma quando la sua fama giunse ai piedi dell’Olimpo, sia Zeus che Era si innamorarono di lui. Era un giovane biondo, molto bello e cotanta bellezza fece nascere nel sovrano degli Dèi il desiderio di averlo sull’Olimpo come coppiere.
Nell’Iliade di Omero (canto V), Diomede racconta che Zeus, affascinato dalla bellezza del ragazzo, lo rapì (detto il ratto di Ganimede), offrendo in cambio al padre una coppia di bianchi cavalli divini, un tralcio di vite d’oro (opera di Efesto) ed un gallo, simbolo di bellezza naturale e di sacrificio agli Dèi.
Per sottrarre Ganimede alla vita terrena Zeus si sarebbe camuffato da aquila: sotto tale aspetto si avventò sul giovanetto mentre questi stava pascolando il gregge del padre sul monte Ida, e lo portò sull’Olimpo, dove ne fece il suo amante omosessuale.
Per questo motivo nelle opere d’arte antiche Ganimede è spesso raffigurato accanto ad un’aquila, abbracciato ad essa, o in volo su di essa.
Altri dicono che Ganimede fu rapito da Eos (l’Aurora), invaghitasi di lui, e che Zeus in seguito lo sottrasse alla Dea.
Ovidio, nel libro X delle sue Metamorfosi, scrive: “Ci fu una volta che il re degli dèi, invaghito di Ganimede, scovò un essere, diverso da quel che lui era, in cui preferì mutarsi: un uccello. Ma fra tutti accettò d’essere solo quello in grado di reggere i suoi fulmini. Detto fatto, battendo l’aria con penne non sue, rapì il giovinetto della stirpe d’Ilo, che ancora gli riempie i calici e gli serve il nèttare, malgrado la stizza di Giunone.”
Nell’Olimpo Ganimede divenne il coppiere degli Dèi, sostituendo Ebe, ed in varie opere d’arte è quindi raffigurato con la coppa in mano. Particolare diffusione ebbe la leggenda che considerava Ganimede come compagno di letto di Zeus, e vi si inserì anche il motivo della gelosia di Era (la stizza di Giunone).
La Dea considerò quel ratto come un insulto recato a lei stessa e alla sua figliola Ebe, che fino a quel giorno era stata coppiera degli Dèi.
Hermes invece comparve al povero re, consolandolo per detto rapimento ed affermando che Ganimede ora, era felice e splendente d’immortalità. Egli era l’amante di Zeus ed il coppiere di tutti gli Olimpi, nessun mortale avrebbe sperato di meglio per il proprio figlio.
Zeus amò Ganimede e ne pose l’immagine tra gli astri nella costellazione dell’Acquario, con accanto un’aquila, e viene rappresentata con un braccio avvolgente un’urna rovesciata dalla quale sgorga l’acqua.
Per il rapporto esistente fra Giove (Zeus) e Ganimede, il maggiore satellite del pianeta Giove è stato battezzato appunto Ganimede, da Simon Marius.
Il nome dell’eroe mitologico è entrato, per antonomasia, anche nel linguaggio comune, e sta ad indicare un giovane elegante e galante, damerino (fare il ganimede = fare il galante), oppure come sinonimo di “bel giovane” o di “amante omosessuale”.
Nel Ratto di Ganimede affrescato da Lelio Orsi nella Rocca di Novellara, la costruzione dell’immagine, l’accentuazione dei caratteri erotici e l’ornamentazione con i putti che giocano tra i festoni di frutta, “più che alludere ad un significato simbolico, fa interpretare la decorazione come un trionfo dell’amore e della gioia di vivere, nonché della fertilità che regola la vita degli uomini e della natura”.
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