Un tempo lontano, gli uomini vivevano in completa armonia con la Natura, la amavano e la rispettavano in tutte le sue forme e ne conoscevano il linguaggio perché parlavano con essa un’antica lingua, quella dei cicli delle Stagioni, del Sole, della Luna, delle Stelle.
Gli uomini consideravano se stessi e tutti gli esseri viventi sulla Terra come parte di un grande villaggio – la Terra, appunto – costituito da tante famiglie, tante quante erano le razze e le specie che riunivano e distinguevano le creature dei Regni Animale, Vegetale e perfino Minerale.
Allora, gli uomini sapevano che ogni famiglia dei Tre Regni aveva un Guardiano, una specie di custode che faceva da tramite tra le forze del Cielo e della Terra per proteggere la crescita armoniosa di quella famiglia in equilibrio con le altre famiglie di animali, vegetali o minerali, e con la grande famiglia degli uomini.
Prima di intraprendere qualunque cosa, l’uomo aveva la buona abitudine di interpellare i Guardiani dei Tre Regni per essere certo di contribuire al mantenimento dell’equilibrio naturale di cui sapeva e ricordava costantemente di essere parte.
Passarono i secoli e l’uomo, crescendo, dimenticò. Credé di essere l’unico al mondo, o almeno il migliore, solo perché aveva più bisogni da soddisfare, e questi bisogni lo rendevano creativo, tanto creativo da illudersi di essere il libero artefice di ogni cambiamento desiderato, a scapito della globalità e dell’equilibrio naturale.
E l’uomo ridusse tutto a un bel meccanismo. Gli serviva legna per costruire case, mobili, o fabbricare carta? Tagliava, o peggio, sradicava alberi senza alcun criterio, non pensando alle conseguenze che quell’azione poteva generare. Poco importava se le radici di quegli alberi, fino ad allora, avevano impedito al terreno di franare; poco importava se il fogliame di quegli stessi alberi costituiva parte di un prezioso depuratore dell’aria che egli stesso respirava… a lui serviva legna. Subito.
E i Guardiani che un tempo fungevano da tramite fra l’uomo e la Natura in tutti i suoi aspetti, ormai dimenticati si intristirono e si nascosero allo sguardo degli uomini nel Regno Invisibile, per proteggersi e continuare, non visti, a custodire e salvaguardare per quanto possibile la Natura ed ogni famiglia dei Tre Regni.
Sulla Terra, vicino al Mare, viveva una bambina. Era una bella bambina, paffuta e rosa, sempre considerata un po’ piccolina per la sua età. La bimba, dicevano, aveva una gran fantasia, poiché raccontava di vedere cose che nessuno aveva mai visto.
Presto la bambina giunse alla conclusione che nessuno era capace di vedere ciò che vedeva lei, e così decise che era meglio non parlarne più per non essere derisa o fraintesa. Ma sentiva che le mancava qualcosa.
Spesso si trovava a guardare il Sole che tramontava dietro le montagne lontane, e sospirava di malinconia. “Chissà perché” si chiedeva. Finché un giorno, un bel giorno di primavera, mossa da qualcosa che non capiva, s’incamminò così, sola soletta, verso la montagna più alta, incurante di quello che avrebbe potuto trovare lungo la strada. Del resto, dicono, i bambini sono proprio degli incoscienti.
Cammina cammina, la stanchezza si faceva sentire, ma più la Montagna sembrava avvicinarsi più la bimba sentiva una gioia strana in fondo al cuore, quasi un solletico che la faceva ridere felice tanto da non sentire più d’essere stanca. Finché non arrivò alla Montagna.
Il Sole era caldo, così caldo che, man mano che saliva, la bambina doveva togliersi i vestiti. Arrivata finalmente in cima, si tolse anche le scarpe e le calze, poi si sedé sull’erba pensando qualcosa come “Beh, eccomi qui. E adesso?” e si mise a giocare da sola, come sempre.
Allora, improvvisamente, le parve di udire un gran brusio, come un chiacchiericcio ed uno scalpiccio lesto lesto, e in un baleno si trovò circondata da tanti esserini minuscoli, tanto che lei, sebbene fosse considerata piccolina, si sentiva quasi grande, anzi, un gigante in confronto a loro. Erano lì, lei li vedeva benissimo, eppure, ci avrebbe giurato, altri al suo posto avrebbero visto solo l’erba e qualche fiore.
Una tra queste creature si fece avanti arrampicandosi dapprima sul suo piede, poi lungo tutta la gamba finché la bimba non la accolse in mano accostandosela al viso per guardarla meglio.
Era una “lei” o, almeno, sembrava; una creatura minuscola, graziosa e leggera, appena un po’ paffuta e rosa, quasi nuda, “Proprio come me” pensò la bambina. Anzi, quasi quasi un po’ le somigliava, soprattutto i capelli, anche se non sembrava di carne ed ossa, ma di qualcosa di molto più leggero ed impalpabile.
Mentre la bimba la osservava, la creatura cominciò a risplendere. La bimba allora la posò nell’erba soffice e la creatura sembrò emanare un forte alone di luce dorata, poi pian piano cominciò ad espandersi e a crescere fino a diventare grande quanto la bambina stessa.
La creatura cominciò a parlare: «Bene arrivata, ti aspettavamo. Ci chiedevamo proprio quanto tempo ci avresti impiegato a udire il nostro richiamo. Sei nata sulla Terra, fra gli uomini, ma il tuo spirito appartiene al nostro regno, il Regno Invisibile. A volte succede che uno di noi si senta spinto a cercare un corpo umano che lo ospiti, un corpo in carne ed ossa per vivere sulla Terra, tra gli uomini. Non lo si fa per gioco o per curiosità, ma per assolvere ad un compito. Quando qualcuno di noi sente che è tempo di assolverlo, chiede un “passaggio” per la Terra. Allora scende dalla Montagna lasciandosi catturare da un grembo umano, proprio come hai fatto tu, per nascere e portare tra gli uomini il messaggio custodito dal nostro popolo, il Piccolo Popolo di quelli che un tempo erano i Guardiani della Terra. Il messaggio è il ricordo stesso dell’antica alleanza tra l’uomo e la Natura in tutte le sue forme. I rari uomini che ci vedono o intuiscono la nostra presenza ci chiamano Spiriti della Natura, Fate, Gnomi, Elfi e in molti altri modi, a seconda del Regno al quale apparteniamo e del quale siamo custodi, invisibili o quasi. Siamo fatti di materia sottile e possiamo cambiare forma, colori, dimensioni, ma non possiamo comunicare direttamente con gli uomini, come invece facevamo un tempo, perché gli uomini non ci cercano più. L’unico modo per comunicare davvero con loro è nascere fra loro.»
La creatura parlava e parlava, anche se pareva parlare senza parole, come se i suoi pensieri arrivassero direttamente al cuore della bimba. La bimba aveva tante domande da fare, ma prima ancora di poterle formulare sentiva arrivare la risposta.
«Quando qualcuno di noi nasce sulla Terra, prima o poi sente il richiamo della Montagna. È il richiamo della memoria. Sapevamo che saresti arrivata ed eravamo pronti ad accoglierti per ricordarti chi sei e qual è il tuo compito, perché nascere sulla Terra significa anche dimenticare.»
La Fata si avvicinò alla bimba e le sfiorò la fronte; alla bambina parve d’essere presa per mano e diventare leggera leggera. Un mondo meraviglioso si aprì ai suoi occhi. Per un attimo tutti i confini che conosceva sembrarono dissolversi e si sentì trasportata in una danza di colori cangianti.
In un battito di ciglia che pareva un’eternità si ritrovò nelle viscere della terra densa, dove rilucenti cristalli brillavano come stelle, poteva percepire il pulsare lento e caldo della Terra stessa, la sua forza, i suoi movimenti possenti, e poteva prenderne parte per sentire come la Terra sentiva.
Percepì allora una vena d’acqua che sì faceva strada e filtrava verso la superficie, e nel seguirla divenne l’acqua stessa che zampillava gioiosa per ricadere al suolo e ancora confondersi nella terra.
Allora si ricordò chi fosse stata e cominciò, raggiante, a raccogliere i preziosi sali della terra disciolti in quell’acqua, per dirigerli verso le radici di una pianta lì vicina; seguì il percorso del prezioso nutrimento nelle radici e nel fusto della pianta, tracciando spirali pulsanti di luce e colori.
Raggiunse il verde fogliame e si bagnò nella luce del Sole, catturandola con il respiro e, respirando e danzando, intrecciò Luce e Aria e Acqua e Terra tra loro, creando magiche correnti di vita, nella pianta e intorno ad essa.
Poi, dolcemente, tutto cessò; alla bambina parve di risvegliarsi abbracciata al grande albero alla vita del quale aveva partecipato danzando. Capiva finalmente perché si sentiva un po’ diversa dagli altri bambini. Capì di essere un tramite, un ponte, una soglia tra il Regno della Natura e quegli uomini che avevano dimenticato di fare parte della Natura stessa.
Le minuscole creature che l’avevano accolta, così come la Fata che le aveva spiegato tante cose, sembravano dissolversi nella luce del crepuscolo, ma la bimba ne udiva ancora chiaramente le voci: «Porta agli uomini la consapevolezza di ciò che non si vede ma è, di come tutto sia Uno, di come gli equilibri sono facili da spezzare se si agisce solo per il proprio personale tornaconto. Porta agli uomini il senso del rispetto per la Vita che permetta loro di utilizzare risorse preziose con saggezza. Porta agli uomini la bellezza dei colori che si vedono solo con gli occhi chiusi, la dolcezza del canto senza parole, il piacere della danza che intreccia le correnti d’amore tra il Cielo e la Terra e segue le magiche alchimie di trasmutazione che creano la Vita. Perché tutto è danza nell’Universo, e se qualcosa interrompe il flusso della danza della Natura, provoca la fine, la morte. Porta agli uomini questo messaggio e noi saremo sempre accanto a te e nel tuo cuore, e sarai felice.»
II Sole tramontava; la bambina, felice e appagata, si rivestì dei suoi abiti scendendo lungo il pendio con le scarpine in mano. Sapeva che sarebbe dovuta crescere d’età per portare quel messaggio agli uomini, e nel frattempo non lo avrebbe dimenticato. La Montagna era là a ricordarglielo ogni volta che lei volgeva ad essa lo sguardo, al tramonto.
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